Il tema della “didattica innovativa” negli ultimi anni è stata al centro del dibattito sul rinnovamento della scuola, in particolar modo in fatto di arredi e organizzazione degli spazi didattici. La costante spinta all’innovazione di INDIRE, soprattutto con il progetto 4+1, ha di fatto cambiato radicalmente il mercato.
È ormai chiaro da qualche tempo che arredare la scuola non significa più, banalmente, “scegliere dei mobili” ma piuttosto progettare e organizzare la scuola curandosi delle esigenze dell’istituto e secondo le caratteristiche che la scuola vorrà dare al suo modo di fare didattica.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione. Lo spazio didattico viene ripensato attraverso delle lenti diverse; lo si vuole piacevole esteticamente, funzionale, fluido e aggregabile. Le motivazioni che spingono verso questo cambiamento sono tante ma alla base, principalmente, c’è la realizzazione di quanto l’ambiente scolastico sia strumentale per incentivare accoglienza, condivisione e inclusione.
L’organizzazione della scuola diventa simile a quello di una città, i cui cittadini sono studenti e docenti. Ogni angolo dell’ambiente deve essere valutato da un punto di vista funzionale rispetto a chi quello spazio lo andrà a utilizzare.
Da questo trend innovativo non si torna più indietro. La scuola diventa un servizio a disposizione della città per opera degli stessi Dirigenti che, tramite progetti innovativi, riescono a catturare l’attenzione di studenti, famiglie ed enti locali.
La funzione degli spazi didattici innovativi non si esaurisce al termine dell’orario scolastico. Sempre più frequentemente, infatti, locali scolastici come biblioteche, laboratori o auditorium sono a disposizione della comunità per esser fruiti al di fuori delle ore di scuola. Essere “scuola innovativa” significa porsi come vero e proprio centro nevralgico del quartiere.
Come il mercato risponde alle esigenze della “scuola innovativa”
La spinta all’innovazione che investito il mondo della scuola negli ultimi anni è anche e soprattutto una sfida tecnologica.
Una sfida che le aziende devono saper cogliere per restare al passo e porsi in maniera rilevante sul mercato. Non è un caso che a fare più fatturato sono quelle aziende che hanno saputo comprendere che l’organizzazione degli spazi interni di una scuola va di pari passo con la conversione al digitale.
Il mercato richiede aziende agili, digitali, dinamiche, in possesso di uno sfaccettato know-how tecnologico e capaci di adattarsi a nuove esigenze.
In questo nuovo scenario le competenze si arricchiscono: c’è bisogno di una grande progettualità che unisca tra loro impieghi su strutture, software e formazione.
In questa nuova ottica, sopravvivranno quelle aziende che sapranno adattarsi; che sapranno confrontarsi con la libera concorrenza; che saranno capaci di assimilare rapidamente nuove idee inglobandole nella propria organizzazione aziendale.
La questione della “Qualità”
Un’azienda che fa qualità opera con caparbietà e dedizione su tutti i suoi livelli aziendali. Si impone di utilizzare solo le migliori materie prime, mette in piedi rigorose procedure di controllo e gestione, investe su personale competente e aggiornato, ottimizza i propri investimenti e agevola la condivisione di valori e conoscenze tra i reparti.
Tutte queste caratteristiche sono indispensabili per un’azienda che voglia dirsi di qualità e possono essere attestate attraverso dei processi di certificazione.
Questo rappresenta la parte burocratica della qualità: un sistema di enti e laboratori che aiuta l’azienda nella definizione delle procedure e assicura la qualità del prodotto finito che entra nel mercato. Portare a termine questo processo comporta la creazione di un certificato che potrà essere utilizzato per le gare di appalto. Il futuro di un’azienda, tuttavia, non è determinato dal semplice possesso di queste carte ma da quanto efficacemente potranno tramutarle in effettive procedure da seguire.
C’è poi una fetta del mercato che utilizza queste carte per ergere un recinto dietro al quale proteggersi da ogni tipo di confronto o partecipazione. Piuttosto che lavorare sui procedimenti esse utilizzano i documenti per tentare di prolungare la loro esistenza, utilizzandoli per tenere fuori dal mercato i competitor, soprattutto quelli in grado di garantire una maggiore innovazione.
Questo sistema è spesso incentivato da associazioni influenti che sanno come muovere i meccanismi decisionali.
Il ruolo della Pubblica Amministrazione
La mole burocratica di carte, regole – spesso stravolte – e norme consigliate nelle trattive con la PA rappresentano un freno significativo all’innovazione.
Limitano oltre la ragionevolezza i prodotti e le aziende presenti sul mercato. Si pongono come un vero e proprio dazio protezionistico, difeso strenuamente dalle aziende già presenti, perché le protegge da eventuali competitor esterni al sistema.
L’esperienza però insegna che il protezionismo ha sempre fallito perché invece di proteggere limita innovazione e concorrenza, danneggiando tutti.
Non c’è da stupirsi se i vecchi, negli ultimi anni sono stati spazzati via dall’avvento delle nuove tecnologie e dal mutamento dei bisogni dell’utilizzatore finale.
Innovare non significa solo comprare macchinari più grandi e più veloci.
La ragnatela di norme e certificati
Dietro la fitta ragnatela di norme e certificazioni volontarie – ma ormai obbligatorie per tutte quelle aziende che vogliono trattare con la PA – si nasconde un grande pericolo.
Per come sono strutturati i meccanismi di certificazione, le aziende devono inviare il campione al laboratorio per essere valutato in maniera di qualità e sicurezza. La PA successivamente richiederà le copie di quel certificato per attestare la sicurezza del prodotto.
Ne consegue che il prodotto che va a finire sul mercato non è mai quello certificato, perché l’ente di certificazione non potrà mai controllare la reale corrispondenza con il campione analizzato.
Ci sono poi quei certificati rilasciati “una sola volta” ad un’azienda e rinnovati di volta in volta con una sola autocertificazione che l’ente richiede per estendere la valenza del certificato. Di questo genere sono le omologazioni in classe 1 dell’intero manufatto.
È evidente che questa burocrazia non porti nessun vantaggio a scuole, famiglie e studenti ma serva solo come barriera protezionistica al libero ingresso del mercato.
Come fanno in EUROPA?
In nessun paese europeo esiste è richiesta una tale mole burocratica per entrare nel mercato pubblico della PA. In molti paesi europei, infatti, le certificazioni di prodotto si ottengono per “famiglie di appartenenza”. L’entità dell’investimento aziendale è molto più bassa perché viene riconosciuta la qualità insita nell’etica del lavoro. Certificare è una “scelta di vita”, non certo una imposizione di mercato.
Ma torniamo nel nostro Paese: il D.lgs. n. 50/2016 sugli appalti favorisce la massima partecipazione nel mercato delle PA, cosa che, in presenza di una tale mole burocratica, non può mai essere assicurata.
La PA, accentando consigli, impedisce l’accesso di alcune imprese ai bandi, andando contro la libera concorrenza. Specie nei bandi “sopra soglia”, deve essere garantito l’accesso a tutte le aziende Ue.
Molte di queste aziende europee, però, pur avendo fatturati inarrivabili per il settore italiano, sono escluse da qualsiasi tipo di accesso al mercato, con quel limite che in Italia la PA, non per sua scelta, concepisce.
Questo atteggiamento limita i player del mercato e, di conseguenza, ne fa scemare la spinta innovativa. Senza innovazione il mercato è destinato alla stagnazione e all’inesorabile declino. Vale quindi la pena continuare per questa strada che finisce per proteggere – in modo effimero – i soliti vecchi?
La scuola
Il mondo della scuola, però, queste dinamiche le ha comprese.
In prima linea ci sono i Dirigenti che con caparbietà e spirito illuminato stanno facendo network affiancandosi di persone competente e pronte al cambiamento.
La rivoluzione nel settore degli arredi scolatici è già in atto e la stanno portando avanti i fruitori finali. Sta a noi aprire gli occhi, avere il coraggio di guardare con forza verso la nuova realtà delle scuole innovative.
Queste potranno diventare il vero impulso che serve alla rinascita della nostra cultura ma non potranno mai spiccare il volo se prima non le liberiamo da inutili fardelli.